In questo libro siamo portati a vedere dove nascono i ciberneti, gli automi che percepiscono, agiscono, elaborano informazioni provenienti dall’ambiente, come noi, sacerdoti di quelle divinità incarnate. Sono protesi della vita degli esseri umani, sono centinaia di migliaia ogni anno. Centinaia, / forse migliaia di tonnellate al giorno; cioè / che escono dalle matrici della fusione / metallica […] e viaggiano sugli oceani in milioni di container. La voce ci guida nei siti di produzione, dove l’inorganico è rianimato e si intersecano corpi umani e automi, come nel caso delle increspature del vetro corrugato simili a quelle della busta da bagno, perché hanno come modello lo stesso pezzo di cuoio di un animale morto decine d’anni prima. L’occhio scompone le macchine nella loro materia e la natura è mediata dai gerghi e dalla lingua speciale (braccio antropomorfo, elettromandarino, placche sinterizzate dalla punta, glifo di cemento) per avverare anche l’estremo in un verso lungo che, giocando con gli elementi narrativi (ad esempio, i connettivi, le abbreviazioni, le note tra le quadre) si spezza nei punti di maggior tensione e coagula il discorso tra incidentali, approssimazioni e lucidi baleni.
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