Romanzo di formazione, sulla consacrazione poetica del trentenne T.S. Eliot a mezzo del manoscritto di The Waste Land, passato al vaglio dall’allora amico Ezra Pound, dantesco e arnaldiano “miglior fabbro”, La voce della Sibilla di Filippo Tuena è stato amato dai grandi lettrici e lettori che stilano per L’Indiscreto le Classifiche di qualità. L’opera con cui Tuena – autore tra l’altro di Ultimo parallelo (Premio Viareggio 2007) sulla spedizione malavventurosa di Robert Scott al Polo Sud – scatena la sua bibliofilia sulle tracce della generazione perduta del Modernismo ha riportato infatti, lo scorso ottobre, il secondo posto dopo le Ferrovie del Messico di Gian Maria Griffi (Laurana), caso letterario dell’anno appena entrato nella dozzina 2023 del premio Strega.
Il T.S. Eliot del 1922 è (ancora) un giovane poeta. Quando scrive The Waste Land, dedicata a Jean Verdenal, medico morto sui Dardanelli nella Grande Guerra, Eliot è già autore del Prufrock and Other observations – pubblicato sempre grazie a Pound – e dei Poems, lavora come impiegato alla Lloyds’ Bank ed è alla ricerca di una vera affermazione letteraria, tra episodi di depressione, ricoveri in clinica a Losanna e il matrimonio con Vivien Haigh-Wood, di cui non dirà nulla alla famiglia fino a cose fatte. Tom “ha difficoltà a manifestarsi, a esporsi. Fatica a far emergere le sue qualità. Si affida a Pound perché non sa fare quello che Pound sa fare: creare un interesse attorno a sé”, fino al punto che Tuena immagina tutta The Waste Land, con quel titolo che si ispira al dantesco paese guasto e alla terre guaste della leggenda del Graal “come la raffigurazione del paesaggio che si mostra agli occhi di un nevrotico”.
Forse, senza la cruciale e tormentata amicizia tra quei due poeti, non saremmo ora a celebrare i cento anni di The Waste Land, disponibile in italiano in varie versioni, tra cui due recenti traduzioni d’autrice: quella di Carmen Gallo, che mettendo in rilievo il ruolo degli eventi storici contemporanei ha per titolo La terra devastata (Il Saggiatore): l’Europa distrutta dalla guerra, ma anche la nuova alienità delle metropoli; e quella di Sara Ventroni, appena uscita con il titolo classico, La terra desolata (Ponte alle Grazie).