Il nuovo libro di Italo Testa aggiunge, come cita l’autore stesso, quattro nuovi capitoli al poema “che occupa la parte centrale de La divisione della gioia” (uscito nel 2010 e riedito da Industria e Letteratura nel 2024). Coerentemente, sembra poter essere iniziato altrove e poter continuare per sempre, perché insegue una sensazione esistenziale pura, assoluta, che si può esprimere solo attraverso degli ossimori, di cui è ricco: è il transeunte permanente, la condizione inalterabile, inossidabile, dello stare andando, trascorrendo, verso mete che sono sempre state già raggiunte o non si raggiungeranno mai, o sono la stazione momentanea di altri. È il tentativo di rappresentare (o suggerire) il dissolversi dell’io (o meglio, dell’ego) nell’atto del vivere. Ricomprende lo stato di degenerazione, assenza, cancellazione (fine) e quello di apice della consumazione, che è un esser vivi, desti, pieni di gioia e nella luce. In questo ampio, e paradossale, spettro riesce a indicare il nostro esserci come un essere: la destinazione di ogni individuo nella storia—o meglio, nella riflessione che è coscienza appagata della storia.
Se “i dettagli possono salvarci”, allora è chiaro che “sei tu, sei proprio tu, non sei nessuno” e che “i tuoi occhi chiari sono di tutti”. Il dove è un luogo-spazio misterioso, evocativo, indistinto nella sua forma totale ma vivido nei particolari (le persiane scolorite nei “toni caldi delle facciate”, le connotazioni specifiche e desuete della “sodaglia incolta | ai margini degli abitati”). “Sogniamo l’esterno” e “l’esterno ci visita nel sonno”, scrive Italo, in un “flusso | costante” in cui ci afferriamo al mondo e ci lasciamo cadere a terra con gli altri. Le parole della scomparsa sono intrecciate a quelle dell’esultanza: dell’abbraccio della vita piena e della gioia, lo stare in una luce diffusa, la cui “fitta trama” sembra smentire, e al tempo stesso confermare “la vana | meraviglia della vita”, che scorre veloce, rallenta, sta ferma per un attimo, sparisce.
Tutto, nel linguaggio di Italo, segnala questo sentire paradossale e per questo esatto, dalla disposizione dei versi attraverso gli enjambement, che saldano e divaricano le opposizioni complementari (“l’erba ingiallisce | il tuo seno matura, si ingrossa”) ai trascorrimenti di un soggetto misterioso in un altro, altrettanto non rappresentabile; dal catalogo dei sinonimi (“diventa linfa, succo, alimento”) alla ripresa finale di immagini e atteggiamenti narrativi che abbozza una struttura circolare per ribadire l’impossibilità di una conclusione, e il progredire inesorabile, concepibile, del processo. L’occhio si scioglie nel mondo, le cose — come l’umano — imparano la lezione della solitudine e diventano compiute, il tempo ci oltrepassa e “riaccade qui”. Le donne e gli uomini sono “invasi | dal presente, inermi, vulnerabili”, e sembra che questo sia il luogo in cui vogliono “finire estinguerci restare | presi in una morsa, avvinti | da una promessa fatta di carne”.