Autenticità e poesia contemporanea /5

In un mondo sempre più complesso e stratificato ha senso tornare a discutere, in modo aperto, critico e libero, del rapporto fra autenticità e scrittura poetica. Per questo, partendo da una ricerca di Maria Borio e da un dialogo fra quest’ultima e Laura Di Corcia, è nata l’idea di allargare la discussione ad altre poete e poeti, in vista di una tavola rotonda che si terrà a Pordenonelegge il prossimo settembre. Il dibattito, sotto forma di intervista, sarà ospitato dai litblog Le parole e le cose, Nazione indiana e dal sito di Pordenoneleggepoesia. A poete e poeti è stato proposto un questionario (visitabile QUI) da cui ciascuno ha potuto scegliere liberamente tre/quattro domande. Dopo il primo intervento di Roberto Cescon, uscito su Le parole e le cose (QUI), è stato pubblicato quello di Tommaso Di Dio su Pordenoneleggepoesia (QUI), quello di Marilena Renda su Nazione Indiana (QUI) quello di Andrea Inglese su Le Parole e le Cose (QUI). Si prosegue, oggi, con l’intervento di Marco Pelliccioli.

 
 

L’autenticità – dall’età romantica all’esistenzialismo – è stata cruciale per la formazione dell’individualità moderna: il mondo interiore diventava imprescindibile nella comprensione del reale al posto dei sistemi generali aprioristici del passato. Giacomo Leopardi distingueva il “vero” dall’“affettazione”. La letteratura ha progressivamente abbandonato la rappresentazione della vita secondo forme fisse universali, concentrandosi su quella, complessa e variegata, della coscienza. L’autenticità è stata un ideale: avrebbe dato senso all’esistenza, sarebbe stata una via d’accesso alla verità o quanto meno ci avrebbe aiutato a individuare dei significati per l’umanità nella storia. Questo suo carattere, come ha notato fra gli altri Charles Taylor, si è perso. Essere autentici avrebbe portato a giustificare solo le scelte e l’espressione dei singoli, a guardare prevalentemente al proprio interesse esasperandolo, a dimenticare che l’orizzonte della storia è importante e non aleatorio, così come un’etica nella società. Ci avrebbe chiuso, in modo nichilista, nelle nostre monadi, nella prigione di noi stessi, mentre i rapporti sociali sarebbero degenerati in una neutralità relativistica. Anche la letteratura, allora, è arrivata al punto di non poter più credere al valore dell’autenticità. Ma per chi fa letteratura oggi è importante interrogare l’autenticità come un problema?

Direi di sì. Nel 1954 Luciano Erba, opponendosi a Oreste Macrì, dichiarò, nella memorabile introduzione di Quarta generazione, che «la poesia non usa procedere per collettivi salti nel vuoto, in concomitanza con eventi di grande o minima portata storica: i suoi balzi in avanti, quando non siano l’effetto delle isolate scoperte dei singoli, si preparano nel silenzio della privata storia d’ognuno, che è o sarà storia di tutti». Una dichiarazione a mio avviso decisiva, secondo cui la poesia non può essere in alcun modo ideologia, o al servizio di un potere politico e sociale; al contrario, è auspicabile che, tramite l’esperienza autentica dell’autore, diventi voce e storia collettiva. Ciò che si prepara «nel silenzio della privata storia d’ognuno», ci dice Erba, può divenire «storia di tutti».

In questa chiave, l’autenticità, da intendersi come fisica e concreta esposizione del soggetto nel reale e ricomposizione dell’esperienza in un quadro di insieme, credo ricopra ancora un ruolo centrale, tale da esprimere, per quanto possibile, la nostra comune condizione esistenziale e, inevitabilmente, storica. In questi termini, si può evitare la deriva solipsistica e relativistica individuata da Taylor, a favore di uno sguardo più ampio e universale.

 

Se il desiderio viene dall’altro ed è quindi la traccia di una relazione o di un linguaggio che mi pre-esiste e dentro il quale oriento e contratto la mia identità, in cosa consisterebbe l’autenticità? E come essa potrebbe essere calata in una produzione letteraria? Per Andrea Zanzotto, ad esempio, a fronte di una natura che diventava inautentica con l’industrializzazione, la lingua e lo stile potevano mantenersi depositari dell’autentico. Lo stile e la lingua autentici dovrebbero cercare in ogni caso un nostro – per riprendere Natalia Ginzburg – “lessico familiare”?

La lingua e lo stile possono sicuramente essere depositari dell’autentico. Naturalmente, questo può avvenire in vario modo, come nel caso del “petèl” di Zanzotto o nella scelta, della poesia dialettale, di ricorrere a una lingua che non può esprimersi altrimenti, per mantenere, appunto, il suo rapporto autentico col mondo. Questo può accadere anche a livello stilistico. C’è chi ricorre alla prosa poetica avvertendo nella cesura del verso un artificio; chi si confronta con le forme ereditate dalla tradizione manifestando, nello scarto dialettico con esse, la propria lettura della realtà. Quale che sia la scelta, dal mio punto di vista, poco importa. Contano, invece, le ragioni specifiche per le quali una lingua può essere o meno ispirata al “parlato”, per cui decidiamo di andare “a capo” o riteniamo certi enjambments indispensabili.

Tutto questo, credo abbia a che fare fortemente con l’autenticità.

L’esperienza dell’altro, della realtà e il confronto costante con la tradizione consentono alla lingua e allo stile di farsi carico della voce autentica dell’autore, esprimendo nelle proprie scelte specifiche una possibile identità.

 

Il discorso sulla verità e sull’autenticità sembra essere tornato in auge, specialmente nel romanzo e in quel segmento della narrativa che corrisponde all’autofiction. Se torniamo per un attimo alla stagione del neorealismo, troviamo scrittrici come Elsa Morante per la quale il romanzo realista parlava di una “verità poetica”, non meramente oggettiva, ma intrinseca alla trasfigurazione letteraria. Nell’autofiction odierna, come in alcuni dei romanzi autobiografici di Annie Ernaux, sembra non esserci né l’intento di problematizzare davvero il parlare di sé in modo autentico, né di cercare una “verità poetica”. E come si posiziona la poesia in questo contesto? Mancano delle riflessioni? Ve ne sono troppe? Occorrerebbe postularne altre?

Credo che un ottimo esempio per rispondere a questa domanda sia la vicenda della “rana-toro” in Gli impianti del dovere e della guerra di Antonio Riccardi. Per raccontare un mutamento storico, economico, sociale, antropologico, che ha riguardato il territorio dell’autore e, in senso più ampio, la provincia italiana industrializzata di quegli anni, Riccardi agisce magistralmente. Non solo evita un ripiegamento autobiografico, neorealistico o ideologico, ma lavora sulla costruzione di uno sguardo che diviene voce e, dunque, scrittura autentica. Ci immerge in un mondo nel quale le invenzioni del poeta sono capaci di portare la vicenda su un piano più ampio, collettivo, letterario, testimoniando un momento storico durante il quale hanno avuto luogo dei cambiamenti irreversibili.

Chi si occupa di letteratura dovrebbe mantenere sempre una posizione simile per raccontare, in modo autentico, la realtà.

 

Che rapporto c’è tra scrittura confessionale e autenticità? L’autenticità può essere connessa solo alla lirica, concentrata quindi intensivamente sul soggetto, oppure ad altro? L’etimologia di autentico, d’altra parte, deriva dal greco αὐϑέντης, composto autos (me stesso) e hentes (colui che agisce): autentico è chi agisce secondo il suo vero sé. Ma l’azione, per realizzarsi, presuppone un contesto e la possibilità di interazione con gli altri, senza i quali nemmeno la nostra identità riuscirebbe a costituirsi. La prova dell’autenticità, alla fine, avverrebbe comunque in un orizzonte intersoggettivo… – e, quindi, l’espressione (autentica) di sé, da parte del poeta, come può interessare la collettività?

Credo che un autore e, in linea generale, un artista, debba necessariamente considerarsi un prodotto storico del proprio tempo. È inevitabile.

«Ho sempre pensato di esser estraneo a questa città e di non aver nulla a che fare con voi», ammette Rambert, il protagonista di La peste di Camus. «Ma adesso che ho veduto quello che ho veduto, so che io sono qui, che io lo voglia o no. Questa storia riguarda tutti».

Del resto, pensiamo alla Guernica. Non solo un’opera figlia del proprio tempo storico, ma realizzata attraverso un linguaggio che si fa depositario dell’autenticità specifica dell’artista. Picasso non avrebbe potuto rappresentare quella tragedia con lo stile di Delacroix. Ha adottato un linguaggio che ha consentito alla propria identità artistica di esprimersi, autenticamente, attraverso l’esperienza di quel preciso momento storico. E pensiamo al cinema. Ai jump cut di Jean-Luc Godard, al sovvertimento della grammatica in Lars von Trier, o alla destrutturazione narrativa di David Lynch. Non sono dei meri esercizi di stile votati all’espressione del sé ma una reazione rispetto alla tradizione, al proprio contesto storico e vissuto esistenziale. Scelte precise che consentono, all’autenticità, di farsi strada attraverso una specifica forma di linguaggio.

Tutto questo, naturalmente, riguarda anche la poesia. Per cui non credo si possano stabilire, a priori, dei modelli o veti assoluti. Il Novecento ci ha consegnato esempi eccellenti di poesia confessionale (Anne Sexton, Sylvia Plath), opere che hanno preferito ricorrere a doppi narrativi (La ragazza Carla) o a memorabili bestiari (Giampiero Neri).

Il punto è un altro. Riguarda la disponibilità dell’autore a immergersi nella propria esperienza (e ferita) esistenziale, storica, restituendone, con una sua precipua poetica in fieri, una testimonianza. Questo concede all’autenticità qualche speranza…

 

Quando scrivi, nel momento in cui prende spazio l’elaborazione del testo, hai di fronte queste prospettive? E se sì, in che modo influenzano il tuo lavoro?

Sono questioni a mio avviso centrali. Non credo in una poesia programmatica, o impegnata a priori in qualcosa di prestabilito. La mia scrittura nasce da un costante attrito con la realtà esterna che produce dentro di me un movimento. A volte, la mia attenzione viene catturata da persone reali, di cui conosco o immagino le sorti; altre da piante, o animali che, in modo del tutto imprevedibile, riescono a svelare qualcosa che riguarda la nostra comune condizione. Altre ancora da situazioni oniriche, surreali, la cui opacità ci riguarda. Così come alcuni episodi di vita comune nei quali la Storia irrompe brutalmente: la caduta del Muro, l’11 settembre, il ritrovamento di Alan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum, la vicenda di Mahsa Amini.

Il comune denominatore di questi movimenti è la ricerca, la tensione verso un’idea di autenticità che possa rendere, per quanto possibile, la mia voce, una voce collettiva, un soggetto plurale, che si innesta sulla tradizione per muovere in avanti…

 
 

Il questionario completo
QUI

 

Tutti gli interventi di Autenticità e poesia contemporanea:
1. Roberto Cescon su Le Parole e Le cose
2. Tommaso Di Dio su pordenoneleggepoesia.it
3. Marilena Renda su Nazione Indiana
4. Andrea Inglese su Le Parole e le Cose