Dopo Exfanzia (Einaudi, 2022), libro della maturità del poeta romano che ribalta lo sguardo all’infanzia trasformando l’in in ex, ma senza abbandonarla del tutto, dove più che un abbracciare la vecchiaia c’è un espungere1 il sé da sé, Magrelli esce con una plaquette inserita nei prestigiosi Quaderni di Stampa2009, curati da Maurizio Cucchi. Quaderni che negli anni hanno ospitato poeti come Ermanno Krumm, Roberto Mussapi, Mario Santagostini, Mariangela Gualtieri, Mary Barbara Tolusso, Alberto Bertoni, Maria Grazia Calandrone, Giancarlo Pontiggia, fino ai più recenti Maria Borio, Alberto Pellegatta, Marco Corsi, Marco Pelliccioli (a febbraio in uscita per Mondadori con Nel concerto del tempo), Elisa Donzelli.
Si legge nella nota dell’autore:
Gli otto testi qui presentati, insieme ai loro rispettivi commenti, sono nati dall’invito di Riccardo De Gennaro, direttore della rivista «il Reportage», che ringrazio doppiamente, poiché, a rendere più originale la proposta di tenere una rubrica di poesia inedita trimestrale, è stata la sua idea di affiancare ogni composizione ad un’autoanalisi. È nato così il progetto della presente plaquette e del suo titolo, Verso a fronte.
Poesia quasi a presa diretta a cui Magrelli ha già abituato (si pensi a Ecce video2, uscito su «Tuttolibri – La Stampa» del luglio 1993, poi su «Poesia» del marzo 1994 e in Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi 1996, ma anche 8 marzo 20203 in Exfanzia, Einaudi, 2022), in Verso a fronte tornano alcuni temi importanti come la morte4 ma anche la televisione, o meglio la fruizione del mondo a video.
Lapsus
In Indonesia un uomo (40 anni)
è morto quando la bara della madre
gli è scivolata addosso.
Durante le esequie, la vittima
e un gruppo di abitanti del villaggio
stavano issando il corpo su una torre
funeraria, ma la scala ha ceduto
compiendo la tragedia
(segue video).
Lo straniamento della vicenda emerge dall’autocommento di cui la poesia è, appunto, un testo a fronte e che contraddisingue la forma di questo quaderno:
Amo i collage. Il mio primo lo pubblicai nel 1977, manomettendo un testo di filosofia. Da allora, ogni tanto ritorno a quella lontana passione, come nei versi in cui ho trascritto una notizia giornalistica presa in rete.
Dare la morte da morta, dopo aver dato la vita da viva. Una madre che uccide il proprio figlio, ma inavvertitamente, in una forma postuma. Che storia! Degna di qualche profezia shakespeariana. Come chi sta affogando, e trascina con sé il suo salvatore. Quale magnete potentissimo ha unito i due destini?Qui, non soltanto un morto uccide un vivo, ma uccide colui che aveva generato. E allora mi domando: si può applicare il concetto di lapsus ad un cadavere? Domanda tanto più lecita visto che il termine deriva dal verbo latino labi, ossia “scivolare”, “cadere”. E dunque: può la salma esser caduta per un lapsus? Senza considerare che, magari, a causare l’incidente, a compiere il lapsus, potrebbe essere stato il figlio, il vivo…
Letta su internet, una notizia del genere mi ha lasciato senza parole, tanto più per la clausola, così impersonale, parentetica, procedurale: “(segue video)”.
L’assurdità, il ribaltamento tra morta e vivo, dove è il morto ad uccidere accidentalmente il vivo e tutto è (parimenti) accidentalmente invertito pur rimanendo se stesso, crea una situazione resa ancor più drammatica dall’essere i due protagonisti madre e figlio, che riporta al concetto di lapsus che è il cinismo degli accadimenti. Un’osservazione oggettiva ma anche esterrefatta, che si chiude su una parentesi (segue video) silenziante. Segue il fatto, il mondo, ma visto attraverso un video che per definizione allontana dal fatto, che isola dal mondo.
La raccolta prosegue con un viaggio dopo due anni di fermo obbligato causa pandemia, dove si scopre che nulla era più come prima, ma anche con una gita in mezzo a un bosco che molto riporta alla letteratura degli ultimi decenni e ai temi dell’attualità. L’occasione è il voler andare a visitare dei maiali, cosa resa impossibile dal fetore mortale che si incontra. Solo bestie, bestie allo stato brado avvisa Magrelli definendo l’incontro con quel fetore una violenza simile all’odore di zolfo sull’Etna. Un’altra gita, un altro tempo, la medesima morte, era pura morte. Magrelli conclude con un’amara riflessione sul perché stiamo distruggendo il mondo. Forse perchè animali e vulcani appartengono / a un mondo diverso dal nostro, / un mondo che respira in modo diverso, / protetto da una forza spaventosa. Un’alterità che è alienazione, è espungere, espellere. Nell’autocommento sottolinea che la conclusione rappresenta il tentativo di trovare un elemento che accomuni i due fenomeni, elemento che mi è parso di poter individuare nella loro estraneità rispetto all’uomo.
Tornano come echi (più al lettore che all’autore) l’enorme maiale bianco5 e il fetore di cielo6 di Ivano Ferrari, che pure muovendosi in direzione opposta a Magrelli accusa un dio / con la puzza al naso7. Ma anche la mente, da quando – costretta – ammette / che alla vita sulla terra non importa il suo amore, / e sempre è stata contro natura, la natura / da lei pensata, e spaventati / se ne sono scappati via gli dèi, già allora8 di Villalta, che parimenti esplora il rapporto distruttivo tra l’uomo e la natura.
Verso a fronte continua con il rapporto con il passato (Tatuaggio) e l’emblema dell’indecisione, con un affondo particolarmente significativo in chiusa all’autocommento: diceva bene un mio amico scrittore: l’atto di scegliere è una tra le più violente esperienze personali. Segue il testo Rate e il relativo autocommento che ancora riflette sul ribaltamento dei ruoli che diventa vita alla rovescia.
Rate
C’è poco da fare: le rate
non smettono di affascinarmi.
Ti lavorano il cervello ininterrottamente.
Il loro modo di annodare tempo e denaro
ha qualcosa di atroce,
di sacrificale e scorsoio.
Ne ho già pagate 11, mi sento sollevato,
ma me ne mancano ancora 229,
sussurro tristemente.
Non vedo l’ora di averle finite, smanio,
e in quell’istante capisco che sto augurandomi
di avere vent’anni di più.
È un dio malvagio, il solito dio malvagio,
che promette felicità solo nella tomba
facendoci addirittura desiderare
di raggiungerla presto, anzi prestissimo,
pur di finire le rate.
Mi era già capitato qualche anno fa di scrivere una poesia sulle rate9 ; adesso sono tornato sullo stesso tema, per sottolineare il senso di sortilegio scaturito da un simile impiego del denaro. Qui, l’anticipo è tutto, e con lui la sua controparte, la scadenza, che compare lontana per brillare all’orizzonte del nostro avvenire. Come mai? Perché le rate sono la vita alla rovescia, la clessidra di un tempo avvelenato, che mentre cresci, sfuma – che mentre sfuma, cresci.
Questo rapporto inversamente proporzionale tra la nostra esistenza e i nostri debiti, mi pare simboleggiare qualcosa di potente, anche se ignoro cosa. A ciò si aggiunga che, nella parlata popolare di Roma, “fare rate” significa “fare schifo”. E fa davvero schifo, a ben vedere, l’idea di collocare nel futuro la liberazione dall’obbligo, tanto da desiderare di consumarlo subito, il futuro, pur di ottenere l’assoluzione.
Segue la burocrazia quotidiana di Modulo che riporta al tema, evidenziato nell’autocommento, infinito è il dibattito su quanto abbiamo perso e quanto guadagnato rispetto al passato. Torna la violenza, una violenza incontrollabile di un passato che talvolta viene rimpianto, di fronte alla burocrazia e i suoi derivati. Questo perchè nell’Unno e nel burocrate il gusto per la sottomissione altrui, la brutalità dell’omicidio, il piacere del sopruso, sono identici: hanno soltanto assunto forme diverse. Segue ancora una riflessione sul passato dal punto di vista della nostalgia, della dolcezza di alcune fotografie passate che restituiscono la bellezza di un istante ma espungono la verità dell’istante stesso: ma perché, allora, tanta tenerezza retrospettiva? / Perché il passato è la nostra vita senza noi, / è il tempo con la museruola, / un tempo senza il morso del presente, / bello perché passato, perché assente.
Chiude l’opera, restituendo nonostante la sua brevità una struttura compatta e ben definita, il testo Cruciverba che riflette sul rapporto di una signora con le parole crociate. Un’occasione marginale, pertinente una casualità che si osserva accidentalmente, come spesso in Magrelli, diventa motivo di riflessione sulla scrittura poetica e sulla relazione tra autore e lettore, sbrogliando in qualche modo una matassa che rimane e rimarrà probabilmente sempre tale, ma con un’intuizione, un lampo: e finalmente mi è parso di capire che un intrattenimento del genere, lungi dall’essere solo un passatempo, nasconde il segreto stesso della letteratura: congiungere tra loro due esseri umani divisi dal tempo e dallo spazio, legando chi scrive un testo a chi lo va leggendo.
Alessandro Canzian
Due domande all’autore:
AC. Gentile Magrelli, in un suo autocommento afferma che infinito è il dibattito su quanto abbiamo perso e quanto guadagnato rispetto al passato. Il che è assolutamente vero ma spinge a un’ulteriore domanda. Ovvero su quanto in realtà sia vicino quel passato e breve la nostra memoria e percezione della distanza. Intendo con questo un semplice fatto che prendo a esempio: il primo vero volo di un veicolo motorizzato fu quello dei fratelli Wright nel 1903, il primo allunaggio avvenne nel 1969. Così per gioco ho cercato nomi di persone nate nel 1888, cioè che durante il primo volo avessero 15 anni, e morte dopo l’allunaggio, scoprendone veramente molti. E ne prendo una ad esempio: Rosa Zagnoni Marinoni. Scrittrice e poetessa italo-statunitense, nacque a Bologna appunto nel 1888 e morì a Fayetteville in Arkansas nel 1970. Letteralmente questa scrittrice ha vissuto l’avvenire sia dell’uno che dell’altro evento. Una distanza enorme eppure racchiusa in una sola vita. Tutto ci sembra lontano ma non lo è. Siamo noi a dimenticare o abbiamo bisogno di questa distanza?
V.M. Confesso che questo tipo di sovrapposizioni cronologiche mi entusiasma: 1842, morte di Stendhal e nascita di Mallarmé; 1881, morte di Dostoevskij e nascita di Picasso; 1899, lavori della metropolitana di Parigi, Freud pubblica L’interpretazione dei sogni… Malgrado appaia come un unico corso, la Storia è fatta di infinite correnti che si intrecciano in maniera imprevedibile (penso al concetto di “multiversum” in Ernst Bloch). Per rispondere alla domanda, credo insomma che nutriamo un urgente bisogno di dimenticare, e che solo studiando possiamo giungere a recuperare alcune delle infinite articolazioni temporali.
A.C. Rapporto tra autore e lettore. Lei assume la ricerca del lettore verso l’autore, un autore che sta andando da qualche parte, ma non si sa dove10. Eppure oggi pare che anche l’autore stia cercando di focalizzare un obiettivo per incontrare il lettore, chiuque esso sia, o per compiacerlo nel peggiore dei casi, dimenticandosi continuamente la fragilità del palco di Castelporziano. Tra l’altro, non essendoci un vero e proprio ritorno economico possibile, o concreto in alcuna altra forma, assomigliando molto all’ignavo dantesco che rincorre l’insegna. E questo riporta al suo testo Tatuaggio sull’indecisione con il detto del suo amico: l’atto di scegliere è una tra le più violente esperienze personali. Quale pensa sia la più corretta scelta di un poeta? Espungere il lettore o cercarlo?
V.M. Naturalmente posso rispondere solo attraverso la mia esperienza personale. Ebbene, ritengo che mentre si compone (o decompone) non facciamo altro che allontanare sempre più la nostra immagine di lettore ideale. Infatti, quando mi dedico alla scrittura in versi, vengo sempre più assorbito dal problema del metro, della scansione sillabica, della rima o (il che è lo stesso) dell’assenza di rima. In breve, non c’è più tempo di pensare al lettore, il quale, letteralmente, scompare dall’orizzonte di chi sta scrivendo. Altra cosa sono le letture pubbliche, che amo profondamente, nelle quali, viceversa, il lettore occupa il centro del campo visivo, interpretativo, e verso cui si rivolge per intero l’attenzione dell’autore.
Note
Si usa volontariamente il termine espungere. Si legga, da Ora Serrata Retinae (Einaudi, 1980)
Questa ragazza si sottrae ad ogni gesto
ed è cieca ai miei inganni, né può
scorgere il filo del mio parlare,
né inciamparvi. Attraversa ogni trama
senza nemmeno sapere a cosa si sottrae,
o forse proprio questo incurante sostare
le dona prodigiosa incolumità. Così,
mi sento quasi una terra abbandonata,
su cui di sera quietamente passeggiano
uomini ed animali; e questa donna
cresce dentro di me, dolorosa
come un uccello vivo nel torace.
Paziente dovrò aspettare
la lenta espunzione di questo corpo estraneo,
che varcando l’orizzonte dei sensi
lascerà di sé solo
la sottile firma d’una cicatrice.
Ma soprattutto la nota critica che ne fa Alberto Bertoni su ipoetisonovivi.com nel 2014. QUI
Ecce video
In memoria E.H.
ritrovato nel suo appartamento
nove mesi dopo il decessoseduto davanti alla tv.
I
Morì fissano il suo Televisore
la sfera di cristallo del presente,
guardava il Niente e ne vedeva il cuore,
cercava il Cuore e non vedeva niente.
Chi sfidò il lezzo del buio malfermo
si accorse che veniva dall’Illeso,
non dal Morto, ma dal Morente Schermo,
non dal Corpo, bensì dal Video acceso.
Carogna divorata dagli insetti,
il Monitor frinisce e brilla breve
senza più palinsesti e albaparietti.
La Sua vita larvale svanì lieve
(goal, quiz, clip, news, spot, film, blob, flash, scoop, E.T.),
circonfusa di niente, effetto neve.
8 marzo 2020
La morte le dona
Saul Bellow
Una persona orrenda è morta ieri.
Non importa chi fosse;
era un’orrenda persona qualunque.
L’ho letto sul giornale.
Perché non dovrei essere felice?
Dicono faccia male a chi se ne rallegra.
Ma sarà vero?
Mi pare così bello
sapere che il respiro, il mio respiro,
non si mescolerà
più a quello di un mostro.
Non ci devi pensare, mi spiegano,
è un sentimento che nuoce a chi lo prova.
E va bene, farò finta di niente…
Ma sento già che il mondo è più pulito,
ma sento già che il mondo è più leggero.
4
Si legga ad esempio, già in Ora serrata retinae (Einaudi, 1980)
La morte a volte trapela
se còlta nei suoi gesti più abituali.
Il pettine di un morto
è la sua mano orfana
le cui dita sottili superarono
la vita pettinandola.
Il suo zelo per l’assente
è il dono postumo
preparato e mai offerto.
Ma anche in Geologia d’un padre (Einaudi, 2013)
Era il contrario di quanto avvenne in sala parto. La differenza sta nella mancanza della madre. Per questo, il morente è chiamato a impersonare due ruoli insieme: è la fattrice e il neonato, l’espulsore e l’espulso. Si tratta di ripassare dall’altra parte, e il cunicolo è stretto, nessuno, proprio nessuno può aiutarti. Il punto è questo: devi farlo da solo, affrontando una dilatazione topologica dello spazio in cui la coscienza-oloturia è chiama a estroflettersi.
Non ci furono grida o contrazioni, bensì il paziente estrarsi di sé da sé, come nel caso della bottiglia di Klein, laddove il contenente si travasa nel contenuto. E tutto nella tristezza delle feci, il cui congedo diuturno di mio padre andava annotando con tanta strazianete acribia. Pian piano è uscito tutto dalla vita, sgusciando via, alla fine, fino in fondo. Il braccio, poi, non gli è servito più, e ha smesso di far leva. L’ho visto sparire sotto i miei occhi. Sarà sbucato dall’altra parte del mondo.
Si noti anche in questo caso la ricorrenza nel verbo espellere, vedi note precedenti.
5
Da Macello, di Ivano Ferrari (Einaudi, 2013)
Dalla vasca d’acqua bollente
emerge un enorme maiale
bianco come uno spettro
che oscilla impudico fino a quando
dal finestrone il sole
accende quintali di luce.
6
Da Macello, di Ivano Ferrari (Einaudi, 2013)
Nuvole che scoppiano
come tane malscavate
borchiano la città
con gocce nere
cremato un agnello da esperimento
fetore di cielo.
7
Da Macello, di Ivano Ferrari (Einaudi, 2013)
Niente addobbi viola
le croci coperte dalle tute sporche
l’incenso deodora altre chiese,
non bruciano candele
solo grasso di cavalli col carbonchio
eppure la santità del sacrificio
avvolge ogni spazio del carnaio
muscoli domati, nervi di scarto
certamente troppo per un dio
con la puzza al naso.
8
Da Dove sono gli anni, Gian Mario Villalta (Garzanti, 2022)
La vita che esplode dal disciogliersi
dei ghiacci ci minaccia
è la stessa che sogna il paradiso nella lingua mortale.
Nascere è animale, e umano con la memoria
e la parola diventare quell’io che vuole sapere
perché. Un senso da noi, i mortali, imposto
dentro il fluire-margine
del tempo, che la generazione incessante
di quanta è tutta la vivente
terra ignora,
come ignora la morte,
perché resiste su questo pianeta
ciò che muta e mutando esiste.
Nascere è metamorfosi, e appare
la morte come l’ultimo mutare, ma non è,
non cessa la vita quando si dissolve
l’io che si dice nella voce.
Si rivolta contro
se stessa la mente, da quando – costretta – ammette
che alla vita sulla terra non importa il suo amore,
e sempre è stata contro natura, la natura
da lei pensata, e spaventati
se ne sono scappati via gli dèi, già allora.
9
Ipotizzo da Il sangue amaro, Valerio Magrelli (Einaudi, 2014). Ndr
Dove vanno le Rate, quei famelici
levrieri dietro l’esca della vita? Corrono
dietro al Tempo-lepre, mute
creature a caccia della Morte, muto
Mutuo finale, sepolcrale
Saldo, vita seconda, piè veloce
Achille, che malgrado il suo ritardo
cerca la tartaruga – ma l’afferra,
in questo caso,
eccome,
se l’afferra!
10
Valerio Magrelli, L’enigmista e l’invasato in Seminario sulla poesia, a c. di F. Nasi e L. Vetri, Ravenna, Essegi, 1991.