Vincenzo della Mea ha usato GPT-2, prima “addestrandola” introducendo circa 12.000 poesie (ma anche testi di informatica e di neuroscienze) lasciandola poi libera di creare poesia. La seconda fase è stata eliminare da questa super produzione le poesie che avevano troppi debiti o errori grammaticali, tramite dei software progettati dallo stesso autore umano, e infine scegliendo tra le rimanenti secondo il gusto dell’autore umano. La procedura con cui si è arrivati a questo volume prevede quindi un lavoro spalla a spalla tra macchina e uomo, le vette di Moravec paiono raggiungibili alla macchina solo grazie all’aiuto umano. Il risultato ci mostra un’ambiguità molto avvincente: la macchina si corregge attraverso una scelta umana, autoriale nella sua unicità (e infatti Vincenzo Della Mea chiama sé stesso “Autore umano”). Quello che ci dicono queste poesie, riguarda più noi stessi, o l’autore umano, che la macchina. Se nelle poesie leggiamo delle frasi alla Blade Runner è perché quel film fa parte del nostro immaginario, se leggiamo una nostalgia del corpo è perché pensiamo che la macchina debba provarla. Forse scopriamo che ciò che in noi dovrebbe sfuggire all’algoritmo è solo un algoritmo di grado diverso.
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