Come molti libri di poesia italiana recente – ad esempio Dimora naturale (Einaudi) di Andrea Bajani, che fa eco misteriosa nel titolo alla silloge Questioni naturali con cui Maddalena Lotter si è presentata all’attenzione dei lettori nel XIV Quaderno di poesia italiana contemporanea (Marcos y Marcos) – anche questo Atlante di chi non parla (Aragno, collana I domani, 2022), ci si presenta racchiuso, già a partire dai versi sulla copertina, nella conchiglia di un concept album, nella variante, variazione e reiterazione di un tema, concettuale appunto e musicale.
L’era degli uomini è finita
ma nulla vieta di immaginare
quel ciondolo tutto fatto di luce
dentro la sua conchiglia
a miglia e miglia dalla vita,
sul fondale
una cosa piccola che brilla
e non ci salva
e tace.
Un nucleo radiante che consiste qui nell’ossessione di dare voce “a chi non ha avuto voce sulle scelte che hanno condotto il nostro pianeta a diventare quello che è” e a chi se anche l’ha avuta non l’ha più: i nostri morti, umani e animali, ma anche i grandi mammiferi e cetacei estinti, che con la loro fine hanno fatto spazio ad altro – a noi – migrando in un non-essere di eco e di tracce.
prendo coscienza troppo presto
ancora imbrigliato nelle pareti molli.
sento di conoscere lo sbadiglio
e sbadigliando ho rotto tutto
ora
c’è un prima e c’è un dopo
si sono aperte le galassie
diluite in costellazioni
atmosfere
d’albe viola, rocce e gas
mi trovo in una solitudine immensa
Fine e inizio in questo libro del resto coincidono, come nei fotogrammi di un tramonto riavvolti al contrario per diventare l’alba, nel poemetto Il testimone, da cui sono tratti i versi qui sopra. Un testo in cui si toccano anche solo asintoticamente, in intenzione, cosmogonia esiodea e calviniana cosmicomica: mentre, assecondando il movimento ampio della nuova poesia/pensiero che in Italia come altrove si pensa nello spazio e nel tempo – che sia catastrofe, diorama o paesaggio – di un tempo umano costretto a fare i conti col presto-non-poter-essere-più-tale, il soggetto poetico scivola via dall’antropocentrismo, si mostra non al centro ma accanto. Il senza del non agire e della rinuncia, filo che tiene il tutto, “una rinuncia non solo necessaria, ma specialmente operosa, creativa”, à la Simone Weil, diventa ora – troppo tardi? – non più un contro ma un con.
E forse è proprio il testimone la misteriosa creatura, embrionale ed acquatica, che in un recente post sul suo profilo Facebook Maddalena Lotter – che è anche curatrice, insieme a Giovanni Turra e Sebastiano Gatto, della collana di poesia A27 di Amos Edizioni – ha posto ad emblema elaborato, con l’intelligenza artificiale di MidiJourney, della sua poesia. Una figura che si staglia tra i mondi in una psichedelia e fantasmagoria di fine/inizio, di soli-pavoni che esplodono o si concentrano dalle spire a colori di una nebulosa variopinta in cui si annidano infinite possibili altre creature, altre forme di vita che non sono la nostra e sono insieme alla nostra, in una nuova alchimia.
Laura Pugno