Una concretezza in cui appaiono figure diverse, e dunque personaggi anonimi, esseri animati ma anche presenze mnestiche, prelevate con accortezza da una vissuta realtà, in genere quotidiana, da cui scaturisce un gioco che tiene avvinto il lettore, nelle fitte trame di un imprevedibile percorso. Ma tutto questo – il che aggiunge specificità originale all’insieme articolato ma poematico e coerente del testo – nel comporsi di una visionarietà del procedere che conferisce mistero e forte ambiguità di significati ai vari disegni lirici in cui Marina Corona realizza questa sua nuova opera, decisamente persuasiva nella singolarità dei suoi tratti, delle sue regole interne.
Nel comporsi, passo su passo, nel giro delle stagioni e alla protettiva ombra di T.S.Eliot, di una testimonianza poetica densissima nelle apparizioni proposte e nella loro sottile ambiguità, domina un’amarezza di fondo, una disillusione dell’esserci, nella sensibilità in cui ogni minimo dettaglio si offre alla parola, alla poesia di Marina Corona.
La precarietà dell’esistere viene a insinuarsi in ogni momento, passando per un “corpo fatto d’ombra”, in un “destino d’esilio”, ma sempre pronto all’ascolto e alla visione. E la voce della poesia entra nei movimenti del tempo nella sua normale quotidianità, di cui l’io lirico sa leggere i risvolti nel loro coincidere anche occasionale con il pensiero in costante ansia mobile di chi osserva, il poeta, con minuziosa attenzione.
Ma il valore del libro si realizza anche nel proporsi dei suoi sviluppi interni, nel passare dalla neutralità apparente dello sguardo (con apparire, nella sua sempre aperta narrazione, di immagini dei propri affetti più indelebili, nel sentimento delle assenze) a tracce di una visione che si opacizza fino a tinte più decisamente autunnali o sinistre: “nell’ombra della terra”.
Dopo Un destino innocente, uscito quattro anni fa da (Stampa 2009), Marina Corona conferma in pieno la sostanza e l’energia della sua ricerca poetica, in questo suo Alfabeto morse di novembre, che fa della ricchezza materica della pagina un carattere e una qualità evidente, mettendola in una posizione, nella poesia del nostro tempo (e della sua generazione, che è la stessa di chi scrive queste note di adesione), di sempre più nitida fisionomia, capace ancora di aggiungere al suo lavoro, ogni volta, nuove tinte in nuovi capitoli vitali.
La serranda
La mia lampada è l’anima della sera
mi acciambello al suo biondo fiato,
è di resina la mia pelle,
al di là del vetro
l’albero intriso di lucide gocce
ha foglie fradice, stellate
– alfabeto morse di Novembre
in oro e argento –
tepore e pioggia, alfabeto sfuggente
al buio venire della notte.
Abbasserò la serranda
taglierò la testa all’albero,
il cupo frondoso cespo mi sarà cuore,
così respirerò in verde
in amaranto, in giallo
e la pioggia sarà il mio pianto
precipitato alla finestra.