Scrusciu – Erica Donzella

 

Una voce fatta di spigoli vivi, dove si mostra nella sua carne nervosa. Il corpo è sudore, mappa delle mani, incendio delle ossa. Un modo di stare inquieto, che nelle parole non trova pace, eppure vi si inoltra per «beccare la vita» aspettando «che si faccia nido». Anche il paesaggio reca i segni di questa tensione: la violenza dell'imbrunire, il tumulto di lava, e poi il ritirarsi del serpente sotto la pietra perché «A me basta il fluire dell’onda / calma che viene / ed è sola nel suo mare». Un dettato duro come corteccia, che a passarci dentro si diventa linfa e che procede a fiotti potenti, a ondate di luce gettate sul buio, talvolta con cadenza sentenziosa e anaforica, come una preghiera che si innalza dalle cose per sentire «la magia dell’invisibile e del piccolo». C'è una guerra in queste pagine per «essere carne viva», per non perdere il desiderio di sognare il cielo, farsi incandescenti. Nella sezione dialettale, Chiafura (che si riferisce all'aggrottato di Scicli, nonché, nel suo etimo, a una fortezza per difendersi), si rapprendono i temi di questa poesia, che si fa ancora più carnale, un fuoco che ha radici nello stomaco.