Alfabeto Morse di novembre conferma Marina Corona tra gli autori che più intensamente sanno porre in parola poetica il sentimento di “nostalgia preventiva”: se il racconto di un’esperienza, di un incontro (anche con il sé), di una presenza avviene con lo stendersi del ricordo sulla pagina, già prefigura – nello svolgersi – il proprio svanire. Ed è dal senso di perdita che trae origine l’atto poetico di Corona: un tentativo di eternizzare quel momento, quel luogo, quell’incontro e di farlo vivere oltre il tempo. Tutto questo avviene per combinazione di felicissime metafore, apparentate alle grandi scritture del Novecento: così si può scorgere nella rondine coroniana (un giorno cadrà a terra la macchia / che mi hai fatta alla fronte / fra gli archi dei sopraccigli: / cicatrice del male / e toccherà la piaga il sole / col suo dito bendato di bianco, / tu non ci sarai più, nel vuoto spazio / lasciato dalla tua figura / sosterà una rondine albina) la piena comunanza con l’assenza in Diego Valeri (C’è, scavata nell’aria, la tua dolce / forma di donna: un vuoto / che palpita di te, come l’immoto / silenzio dopo una perduta voce).
Condividi:
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Telegram (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)